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Intervista a Oliviero Bosatelli il trionfatore del TOR
Oliviero Bosatelli e Nadia Bazzana. Coppia perfetta. Nella vita, nello sport e nell’endurance trail in particolare, visto che lei gli ha fatto da assistente meticolosa e sicura in tutte le basi vita distribuite lungo i 330 chilometri del percorso del Tor des Géants®. Di lei e con lei non è facile parlare. Solo piccole ma visibili lacrime di commozione dietro le quinte, mentre lui, sotto lo striscione d’arrivo, si gode gli applausi e l’affetto dei suoi amici accorsi in frotte dalla lombarda Val Seriana e dintorni e, naturalmente, di tutti i valdostani. “Nadia?”, dice Oliviero a cui la fatica non ha certo cancellato la verve: “Sono a malapena riuscito a farle fare qualche foto per l’album di nozze”.
Oliviero “Bosa” Bosatelli, ribattezzato per l’occasione Braccio di Ferro, ha 47 anni, è nato a Gandino, tra le prime colline bergamasche che salgono verso le montagne vere, ed è un Vigile del Fuoco. Prima di affrontare e vincere il Tor des Géants® con una brillantezza impressionate non aveva mai corso “più” di 180 chilometri di fila.
Con che spirito eri venuto al Tor?
Con lo spirito di mettermi alla prova su una distanza mai fatta prima e di godermi anche le montagne valdostane. La mia aspirazione era quella di finire tra i primi dieci, poi l’aspirazione s’era anche un po’ smorzata visto che il lotto dei partenti era davvero qualificato. Qui c’era gente forte dai quali comunque speravo di imparare qualcosa”.
Invece da Cogne in avanti, dopo 106 chilometri, non li hai proprio visti. Tutti alle tue spalle fino alla fine.
“Sì, ma non ho fatto niente di che. Ho solo cercato di tenere il mio ritmo. Ho sempre tenuto sotto controllo il battito cardiaco e regolare l’andatura per non affaticarmi troppo”.
Come ti sei preparato a una gara così lunga?
“Devo essere sincero? Ho scaricato qualche tabella per le lunghe distanze da internet. Poi ho ascoltato i consigli di qualche amico ultra runner. Certo, una base fisica su cui lavorare ce l’avevo già. Mi alleno sulle montagne di casa e di certo il mio lavoro non mi permette di fare una vita sedentaria. Il lavoro mi allena”.
“E da un punto di vista alimentare?
“Niente barrette o integratori vari su distanze così lunghe. Preferisco mangiare cose che non alterino il mio metabolismo quotidiano. Quindi in gara ho mangiato come a casa: pasta, riso, formaggio, frutta, una birretta ogni tanto. Al mattino anche colazione con il latte che, a quanto pare, sembra essere un nemico alimentare della gran parte dei runner… a me non ha fatto niente di male!”.
Una domanda decisamente classica: momenti belli e momenti brutti.
“Momenti belli? Tutto è stato bello: i paesaggi e il rapporto con le persone, i tifosi, i rivali, i valligiani. Poi le notti stellate; perché in Valle d’Aosta ci sono ampie aree in cui non c’è un minimo inquinamento ambientale. La bellezza è data dalle sensazioni, dalle emozioni, oltre che dai luoghi. Momenti brutti? Anche qui nessuno, solo un affaticamento quasi al limite quando sono arrivato al Bertone, ma sapevo che era l’ultimo rifugio e che da lì partiva la discesa ripida ma breve fino al traguardo. Ho mangiato riso e formaggio e ha ricaricato un po’ le energie. E’ stata forse la sosta più lunga”.
A proposito di soste: quanto tempo sei riuscito a dormire?
“Dormire? Adesso sono le 13,30 di mercoledì e io sono ininterrottamente sveglio da sabato scorso alle ore sette. Vale come record?”
Perché no. Ma come sei andato avanti?
“Un po’ di zuccheri e molta adrenalina in circolo. Anche adesso non sono assonnato ma so che se non vado a sdraiarmi arriverò domenica alle premiazioni con le stampelline, per via dell’acido lattico”.
Quando hai capito di avere ormai la vittoria nello zaino?
“Potrei dire appena superato il traguardo. A parte le battute, ho cominciato a pensare alla probabile vittoria quando mi hanno detto che avevo circa 4 ore di vantaggio sui diretti avversari, anche se la cosa non mi ha tranquillizzato del tutto, perché sapevo che Perez è un esperto di rimonte. Comunque sapere di avere un certo distacco mi ha permesso di concentrarmi maggiormente sul dove mettere i piedi. Perdere una gara perché inciampi negli ultimi chilometri… quello sì che sarebbe stata un dramma!”.
Dedichi la vittoria a qualcuno?
“A un sacco di gente: alla mia famiglia, determinante, ai miei compaesani, a chi ha organizzato questa gara davvero unica, alla gente della Valle d’Aosta. Riesci a farceli stare tutti nella tua intervista?”.
Ufficio stampa TOR
Foto Neyr Oz