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Non dirmi che hai paura. Il libro di Giuseppe Catozzella
“Figlie mie, tutto ciò che fino a ieri era normale, oggi è complicato” dice un padre alle sue figlie, Samia e Odan. C’è la guerra in Somalia, violenza e sopraffazione dominano; mentre c’è chi impugna armi, uccide e distrugge tutto ciò che è “a tiro”, incurante che sia un essere umano o un’abitazione, c’è chi sogna, cerca rifugio e trova la forza, il coraggio di lottare e la speranza in un futuro migliore nella corsa. Forte della sua motivazione e “dell’importanza della libertà e il potere dei sogni” nulla può fermarla, neanche l’obbligo di indossare quel burqa anche quando corre o di allenarsi di notte, lontano da chi non vuole, da chi la ostacola e la opprime.
«Non devi mai dire che hai paura […] Altrimenti le cose di cui hai paura si credono grandi e pensano di poterti vincere […] adesso si corre”.
E’ la storia di Samia Yusuf Omar, ragazzina dalle gambe magre ma velocissime, prive di muscoli, che in quel piccolo campo, distrutto dalla guerra, pieno di buche e ruderi, giro dopo giro, accresce e condivide il suo sogno più grande con Alì, amico del cuore, confidente e allenatore: essere un’atleta e partecipare alle Olimpiadi.
«Devi imparare a volare Samia […] se impari a volare batti tutti” gli ripeteva sempre Alì; ed ancora «Sei una piccola guerriera che corre per la libertà, e con le sue forze riscatterà tutto un popolo”.
Notata nelle gare locali, Samia a 17 anni era stata convocata e aveva partecipato a Pechino 2008 correndo i 200 mt in 32’16”. Diventa subito un simbolo per le donne musulmane in tutto il mondo. Con lei quella sua inseparabile e importantissima fascetta bianca per la fronte e quei poveri pantaloncini e maglietta che era un pugno in un occhio accanto alle splendide divise degli altri atleti olimpionici. Era arrivata ultima ma la sua felicità era immensa già per aver potuto partecipare, orgogliosa di portare e far sfilare la bandiera del suo Paese in quella pista di tartan. In seguito era stata convocata per Londra ma “per motivi economici” la sua partecipazione era stata ritirata.
Ma lei voleva esserci, ad ogni costo, voleva essere lì, a Londra, con le grandi atlete della velocità, Veronica Campbell-Brown e Florence Griffith-Joyner, forte come loro, con i muscoli potenziati e definiti come loro … e voleva vincere, per lei, per la sua famiglia, per Alì, per la sua terra.
Da qui inizia il suo Viaggio, il viaggio verso l’Occidente, ottomila chilometri, per fuggire, in condizioni disumane “piena di speranze e sogni di gloria”, dall’Etiopia, raggiungere il Sudan attraversando il Sahara, la Libia e il Mar Mediterraneo e da lì Helsinki, dove l’attendeva la sua famiglia.
E’ il viaggio che tanti profughi e immigrati ancora oggi affrontano per fuggire da un destino crudele, pronti ad affrontare fame, sete, violenze fisiche e psicologiche, abusi e soprusi, sfruttamento, ad essere stipate come bestie, condividendo gomito a gomito, schiena a schiena, tutto … anche le feci, l’urina, il vomito, per raggiungere le nostre coste, consapevoli che quel viaggio, cambierà la loro vita e che li porterà faccia a faccia con il loro destino: ad una vita migliore o … alla morte.
E mentre c’è chi per un attimo di gloria decide di uccidersi lentamente (doping) quelle parole di Abdi Bile, medaglia d’oro nei 1500 metri ai Mondiali di Roma del 1987, che ricordando Samia risuonano ancora più forti: “… non dimentichiamo Samia. Sapete che fine ha fatto Samia Yusuf Omar? La ragazza è morta… morta per raggiungere l’Occidente. Aveva preso una carretta del mare che dalla Libia l’avrebbe dovuta portare in Italia. Non ce l’ha fatta. Era un’atleta bravissima. Una splendida ragazza”.
Samia Yusuf Omar (Mogadiscio, 25 marzo 1991 – Mar Mediterraneo, 2 aprile 2012)
Samia – Beijing Olympics 2008 https://www.youtube.com/watch?v=4E1O_2BOt1c
Articolo: Giovanna Barone
Grazie Giovanna hai riportato in vita per pochi istanti la Samia che doveva volare. La commozione è sempre forte anche leggendo la tua recensione .
Grazie Giacomo