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Scollinando nel Chianti…cronaca di una gara
Quel verde, quelle colline mi avevano già emozionata una volta. Come sarebbe stato, quindi, correre lì in mezzo tra vigne e castelli toscani, dove in certe zone l’ingresso è vietato persino alle auto? Lo ammetto, da quando in Sicilia ho scoperto il trail running e le emozioni che regalano boschi e montagne, coinvolgere gli amici in qualche gara immersa nella natura e’ diventata una priorità. Così quando ho letto della X Ecomaratona del Chianti, non ho avuto più dubbi: domenica 16 ottobre avremmo corso tra quelle colline. E la Toscana non ci ha risparmiato sorprese, accogliendoci prima di tutto con uno splendido sole, un cielo limpido e miti temperature, ideali per affrontare la competizione.
Sabato mattina abbiamo ritirato il nostro pacco gara nel delizioso borgo di Castelnuovo Berardenga, ricco di stand e localini aperti per l’occasione. Cinquemila i partecipanti divisi tra 42km, 21km e passeggiate- degustazione. Atleti, famiglie, turisti hanno letteralmente invaso le vie del paesino godendo di uno scenario meraviglioso e dell’ottimo cibo. La mattina della gara – che dire – emozione alle stelle. I colori del Chianti lasciano davvero senza fiato. Alla partenza, ad accoglierti, un’aria fresca e un vialone ricco di querce e abeti. Runners in preparazione, zainetti volanti, borracce in mano e bacchette colorate ma senza quell’ansia da prestazione che troppo spesso ho notato durante le gare su strada. Ho vissuto sorrisi, serenità, divertimento senza l’ossessione del cronometro. Alle 9.30 tutti pronti. Diversa la partenza per gli iscritti alla maratona con lo start dal suggestivo Castello di Brolio. Prima del via una preghiera e un abbraccio ai miei compagni di gara e di avventure, Giacinto Pipitone e Carmelo Lopapa. Poi la corsa da piazza Marconi: in discesa per i primi tre chilometri sulla strada asfaltata per ammirare a sinistra le Crete Senesi, il profilo di Siena e sulla destra le colline del Chianti. Dopo il terzo chilometro, attraversando i vigneti, si è raggiunto un agriturismo e il primo ristoro (sono cinque in totale e l’impeccabile organizzazione offre proprio di tutto: acqua, vino, frutta, sali minerali e bruschette). Subito dopo una strada bianca all’interno del bosco in salita per 2km che ha condotto nel cuore del Chianti tra felci, ginepri e fiori profumati. (ba.ca)
Amo il vino, adoro le bistecche. L’ho pensato ogni volta che affrontavo una salita: “Faccio questa per meritarmi un bicchiere in più stasera e una fiorentina più grossa”. Quelle salite, sempre più insistenti dall’ottavo chilometro, mi attiravano però ogni volta di più. Ce n’era una, al 14esimo, che andava dritta dritta verso il cielo: un viale cipressato con il selciato bianco e una nebbiolina che non lasciava intravedere la fine della strada. Incredibile, correvo senza sapere verso dove.
Attorno solo vigneti, colline e casali in cui il tempo si è fermato. Più andavo avanti e più volevo che non finisse mai, fra quel grigio del cielo e il verde della natura. Ma come tutte le salite anche questa, lunga un intero chilometro, è stata solo l’annuncio di una discesa. Scorgi così un vigneto con un solco, uno solo, da attraversare, e allora non guardi più nulla. Ti butti giù, le gambe vanno da sole, respiri e ti sembra di volare. Ma dove tenevo nascosta tutta questa energia? E’ il Chianti. E’ l’odore delle vigne, è il vento che accarezza e spinge. Non c’è nulla in questa discesa che tradisca il fatto che corriamo nel 2016, attraversiamo campi che l’uomo ha lasciato intatti. Penso a Frittole, penso a Benigni e Troisi e penso che sì, potrebbe succedere anche a me. Più corro e più mi stacco dalla realtà. Ma anche questa volta, come in tutte le gare, qualcosa mi ricorda che non devo mollare, neppure con la testa. C’è da scansare un alveare esploso perché un concorrente lo ha urtato: e ora correre vuol dire fuggire dalle api. C’è da scavalcare un ruscello: occhio, non mettere i piedi nell’acqua, ché poi le scarpe pesano una tonnellata. Bisogna sforzarsi di andare sempre avanti, in questo l’Ecomaratona del Chianti è come tutte le altre gare. Ma mi accorgo, per la prima volta da quando corro, che non ho guardato il Garmin e non conosco nemmeno il mio passo. Ma sì, chi se ne frega, tanto vale fermarsi un attimo lì in quel casolare e accettare al quarto ristoro un crostino all’olio. In fondo mancano gli ultimi sette chilometri e un gruppo di organizzatori mi rassicura: “Lì dietro quella salita c’è Castelnuovo”. Sta già finendo. (gia.pi)
Eh, si fa presto a dire sta finendo. La fine non arriverà mai. Il paesaggio se possibile si fa sempre più bello, il sole è già alto ma il punto forse più pittoresco della mezza maratona diventa anche il più duro. Sono quasi le 11, si corre da un’ora e mezza, ed ecco il famoso vialone dei cipressi. Oltre un chilometro di strada bianca, come la chiamano qui, uno sterrato dolce quasi di calce, ai lati una filiera mai vista così di centinaia di alberi, i più caratteristici qui nel Chianti. Uno scenario da brivido, percorribile solo a piedi. O su un carretto, forse, un tempo. Ma in salita, maledettamente in leggera, implacabile salita. E per dare al tutto un’atmosfera quasi onirica, ecco il sole coprirsi e scendere nuovamente una coltre di nebbia. E’ vero o sto sognando? C’è una regia per tutto questo? Ti volti indietro un attimo e scorgi il serpentone umano di un chilometro e passa e non riesci a vedere la fine, immersa nella nebbia, appunto. Ma l’emozione è tanta. E per fortuna alla fine, in alto, c’è un punto ristoro al quale ci aggrappiamo come disperati. Qualcuno si ferma e si fa curare le punture di api (o calabroni?). Si ricomincia ed ecco una discesa che spezza il fiato e rischia di spezzare il collo, se non stai attento, giù tra i vigneti. Sembra un regalo inatteso, dopo tante salite. Ma è un bluff, un crudele scherzo. “Piano, piano, che non sapete cosa vi attende al diciannovesimo”, ti racconta nicchiando una vecchia volpe che corre ogni anno su questi sterrati. E infatti eccola, la bestia. Non sembra nemmeno vera. Ancora una salita inerpicata stavolta su per una collina, lunga 1,3 km, con pendenza del 10 per cento. Più che una corsa, una scalata. Nemmeno la camminata è sufficiente, in alcuni tratti bisogna arrampicarsi, aiutarsi con le mani. La si raggiunge, come se non bastasse, attraversando un piccolo ruscello, saltellando da una pietra all’altra nel tentativo (nel mio caso vano) di non bagnarsi le scarpe già cariche di fango e terra. Ma allora ditelo. Iniziano le imprecazioni, questa non è una corsa, è “giochi senza frontiere”, viene voglia di mandare tutti a quel paese (gli organizzatori soprattutto), proprio tu che ancora guardavi il cronometro, proprio tu che ti sentivi forte delle 12 maratone da 42km corse tra l’Europa e New York. Cosa saranno mai 21 km? Invece scopri che possono essere l’inferno. Finisce il chilometro e passa di inerpicata e allora sei al ventesimo e pensi che sia tutto finito, senti lo speaker in lontananza, c’è perfino una discesa tra i campi. Ti incoraggi da solo, pensi che “è fatta”, e invece no. Il 21esimo chilometro è farcito da un’ultima stressante salita, per fortuna breve ma tosta, che porta al centro del paese di Castelnuovo da dove siamo partiti. Il tratto di strada pianeggiante è sì e no 200 metri, gli ultimi, nonché gli unici o quasi di tutta la gara. Allora c’è giusto il tempo di alzare le braccia al cielo e buttare la coda dell’occhio sul quadrante del cronometro sul traguardo, le due ore sono passate da vari minuti. In una gara normale sarebbe stata una disfatta. Invece qui è un trionfo. Quantomeno di emozioni e di immagini che resteranno indelebili nella memoria, vigneti e sterrati, casolari e cipressi, colline verdi e strade bianche, la nebbia che avvolge tutto e poi il sole che la spazza via. Il dolore e poi la gioia. Come nella vita. (c.l.)
Barbara Cappello, ufficio stampa Uil Sicilia
Giacinto Pipitone, cronista Giornale di Sicilia
Carmelo Lopapa, cronista La Repubblica