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La nostra Annecy…

Coinvolge, appassiona e per lunghi tratti commuove. E’ il racconto di Lara La Pera che narra la sua avventura all’Ultra TrailduLac di Annecy dello scorso 30 maggio…la sua e quella dei suoi compagni di viaggio, tra paure e incertezze, tra volontà e sfida…ecco la loro Annecy

L’iscrizione all’ Ultra TrailduLac di Annecy (85 km e 5300 m di dislivello) era stata fatta già nel mese di dicembre. Attendavamo il 30 maggio da sei lunghi mesi in cui abbiamo cercato tra gare e allenamenti, di macinare il maggior numero di km e di salite. La formazione era sempre la stessa:  io, Roberto mio marito, il grandissimo Pippo Ruggeri (nella vita e nello sport) con la sua dolce compagna e quest’anno si è unito a noi Francesco Cesare…in buona sostanza il Team Sicilia.

Il viaggio purtroppo ha riservato tanti di quegli imprevisti da mettere alla prova la pazienza di un santo….Ma la nostra voglia di raggiungere Annecy e di fare la gara che da mesi sognavamo è stata più forte dei disservizi dell’Alitalia e dell’Aeroporto di Fiumicino.

11329990_872599702810614_6724967631986923622_nIl centro nevralgico della manifestazione che ospitava anche i campionati del mondo di ultra-trail era l’immensa plage d’Albigny, un immenso prato sulle rive del lago di Annecy le cui acque sono più cristalline del mare caraibico (la temperatura è un po’ diversa!).

Appena abbiamo raggiunto l’expo per il ritiro pettorali abbiamo capito che eravamo nel tempio del trail. Sfilavano di fronte a noi non solo gli atleti azzurri, ma anche quelli provenienti dalle tante nazioni partecipanti al mondiale. Il ritiro pettorali non ha previsto alcun controllo del materiale obbligatorio (io pensavo che ci avrebbero perquisito gli zainetti fino all’ultimo taschino!).

Questa volta più che mai ho messo in discussione la possibilità di tagliare il traguardo, perché non ho mai fatto gare più lunghe di 60km, perché in 85 km con 5300 m di dislivello può succedere di tutto. Mi rincuorava tanto la temperatura, molto mite.

Il tempo trascorso dalle 2.30 di mattino, quando è suonata la sveglia, alle 5, ora della partenza, è stato divorato dai miei mille pensieri.

Lo start è stato accompagnato da fuochi d’artificio rossi che coloravano il cielo ancora buio….ma io sentivo battere forte il mio cuore in mezzo ai boati e agli applausi.

I primi km sul lungo lago sono trascorsi chiacchierando con Robi il quale mi promise che avremmo tagliato il traguardo insieme, nel bene e nel male. Sapevamo che sarebbe stata una gara molto tecnica…ma non pensavamo fino a questo punto. Da subito ci siamo accorti che il percorso era molto controllato, tanta assistenza e tanti rilevamenti cronometrici. Inoltre era assolutamente impossibile sbagliare strada….segnaletica impeccabile.

La prima salita, SommetduSemnoz, di 17km con 1300m D+ è volata, così come la discesa successiva. Mi sentivo benissimo ed ero felice nel constatare che in discesa mi superavano solo le valanghe umane (definisco così i bravi discesisti che si buttano senza alcun timore). In questi mesi ho fatto tanto per vincere la mia paura delle discese tecniche…quasi tutti i pomeriggi portavo camminando in salita il mio cagnolone su monte Catalfano e a ritorno in discesa (una discesa abbastanza tecnica) lo seguivo correndo concentrandomi sulle sue zampette per distrarmi dal panico della discesa. In gran parte ha funzionato….non sono e non sarò mai una valanga, ma almeno non ho più paura e anziché paralizzarmi…corro! Così nelle lunghe discese immaginavo di avere davanti il mio cagnolone e guardavo ogni pietra su cui stavo per mettere i piedi.

La seconda salita è stata molto dura, Col de La Cochette, 6km e 900 m di dislivello….correre quasi impossibile, ma con l’aiuto dei bastoncini mantenevo un buon passo. La discesa ci avrebbe portati alla seconda base vita km 44, dove ci siamo rifocillati bene per affrontare Pas d’Aulps, una salitona di 15km con 1300m di dislivello. Qui ho commesso il primo grande errore: l’ho corsa quasi tutta. Correre in salita mi piace e se le gambe ci sono mi viene naturale (almeno ché non ci siano pendenze del 20%!). Mi rendevo conto che superavamo tante persone…già si vedevano i primi volti stanchi. Ma noi andavamo, ignari di quello che ci aspettava ancora!I boschi fitti ci riparavano dal sole che ormai picchiava forte. In cima, al 60km ho cominciato ad accusare un po’ di stanchezza, ma ancora stavo bene. La discesa a seguire era una pietraia di 10km, ho detto a Robi di andare avanti e divertirsi (lui è una valanga e adora le discese tecniche), ci saremmo visti a metà della discesa al punto acqua. Ormai eravamo sulle gambe da 9h40’ e se in salita i quadricipiti reggono la stanchezza…in discesa lo fanno meno. Ho cominciato a correre male e ho sbattuto violentemente il piede sinistro contro una pietra. In un primo momento ero così felice di non essere caduta che non ho prestato attenzione al dolore….ma man mano che scendevo diventava insopportabile. Mi sono tolta la scarpa….il mio alluce sinistro sembrava il naso di un clown. Robi mi incitava dicendomi che avevo altre 9 dita…di non piagnucolare. Stringendo i denti raggiungiamo l’ultima base vita km 70……da lì restavano una salita e una discesa…correvamo da 11h30’.

La salita di 9km ci portava da 500 a 1400m, era molto ripida e in alcuni tratti ci siamo aiutati con le mani. C’erano punti molto esposti, ma il panorama era mozzafiato. Io ormai ero nel pallone….e in alcuni momenti ho maledetto il giorno in cui avevo deciso di fare quella gara, mi sentivo debole e inadeguata….ma il peggio doveva arrivare. Arriviamo in vetta, km 79 14h00’. Mancano “solo” 6km. Una discesa di 4.5km con 1000 m di dislivello negativo…un incubo! Il mio dito e i miei quadricipiti erano ko. Usavo le bacchette come fossero stampelle….ma dovevo arrivare, dovevo uscire da quel bosco buio e umido in cui non entravano nemmeno i raggi di sole….poi avrei cambiato sicuramente sport, ma dovevo assolutamente arrivare. 4.5 km in 1h30’. Quando gli alberi si sono diradati, la discesa si è trasformata in pianura e ho visto lo specchio d’acqua, ho ritrovato la grinta che nel bosco mi aveva abbandonata. Imbocchiamo il pontile di legno e con mia grande sorpresa le mie gambe giravano a meraviglia…mancava poco più di 1km e correvamo come se avessimo dovuto battere chissà quale record…abbiamo superato diverse persone che ormai camminavano, abbiamo visto Pippo e Cettina che ci incitavano aldilà delle transenne e ormai sentivo l’odore del traguardo. Ultimo curvone e poi il gonfiabile con un lungo tappeto rosso. Ce l’abbiamo fatta…Ho lottato con tutte le mie forze, ho dovuto spremere i miei muscoli fino all’ultima fibra e ho dovuto trovare la forza per finire non so in quale angolino della mia testa e del mio cuore. E tutto sommato stavo anche bene. Questo era il più grande risultato. Dopo aver abbracciato i  miei amici, aver bevuto litri di acqua, birra e integratori vari…già parlavo con Pippo del prossimo ultra-trail che ci aspetta. Cambiare sport io? Mai. Mi piace troppo il sapore della fatica.

Le gare in cui si lotta a denti stretti non per la performance atletica, ma semplicemente per sopravvivere alla fatica e arrivare, le gare in cui si sbaglia completamente gestione e si ascoltano più le sensazioni che la testa, le gare in cui lesensazioni negative si trasformano in grinta e determinazione, insegnano tantissimo.

E adesso a distanza di qualche giorno mi manca persino quel bosco fitto e buio con quel penetrante odore di umido.

Ovviamente siamo arrivati felici, soddisfatti ed “illesi” tutti e quattro:

Francesco Cesare 12h24’  – 135esimo

Pippo Ruggeri 13h48’  – 326esimo e 4 di categoria VH3

Lara La Pera 15h41’  – 21esiama donna e 719esima assoluta

Roberto Magnisi  15h41’ 720esimo

Per la cronaca terzo posto e medaglia di bronzo ai Campionati mondiali di Ultra Trail di Annecy per la squadra femminile italianaTra gli uomini a festeggiare sono stati i padroni di casa, la Francia, giunta prima, davanti agli Stati Uniti e alla Spagna. 

Le azzurre sono salite sul podio dietro a Francia e Spagna. 

La migliore delle italiane è stata Lisa Borzani che – sul percorso è di 85 chilometri in un giro unico, con 5.300 metri di dislivello – cha terminato la gara in undicesima posizione in 10h59:02, tredicesima Sonia Glarey a 11h01:38, 29esima Virginia Oliveri, 44esima Cecilia Mora. Completano il team Giulia Amadori, Simona Morbelli e Cinzia Bertasa.

Al maschile il miglior italiano è stato il valdostano Franco Collè, quindicesimo in 9h19:50. Il team maschile, che ha chiuso la gara al quinto posto, ha piazzato Ivan Geronazzo, venticinquesimo in 9h32:26, Giulio Ornati, trentaquattresimo in 9h48:19, Marco Zanchi trentanovesimo in 9h57:57, Stefano Trisconi, quarantunesimo in 10h00:31, Stefano Ruzza cinquantaduesimo in 10h08:30, Filippo Canetta settantaduesimo 10h29:34. 

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2 thoughts on “La nostra Annecy…”

  1. Che dire Lara, ogni tuo racconto è come una favola per chi legge. Con la tua semplicità, umiltà ma soprattutto con la tua grande forza che trapela tra le righe (chi ti conosce può solo confermarlo) fai sempre brillare i ns occhi.

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