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Elezioni CONI, in salità la riconferma di Malagò
Il mese prossimo lo Sport eleggerà il suo presidente ai massimi livelli, vale a dire il presidente Nazionale del CONI, per il presidente uscente Giovanni Malagò una sfida mai in salita come ora, riprendiamo un twitter di Sport Insider per capire la situazione:
Di Rocco batterà Malagò perché saprà tenere lontana la politica dallo sport. Al contrario di Malagò. “Certo, Renato Di Rocco è uno di noi, capisce i nostri problemi”. In questa frase, strappata a uno dei più appassionati sostenitori di Giovannino Malagò, è condensato il rischio che sta correndo il Presidente del CONI uscente in vista delle prossime elezioni del 13maggio a Milano. Malagò, infatti, non ha mai ragionato come uno di loro. Presentatosi come il grande innovatore dello sport italiano, Malagò, nella realtà, ha un bilancio pessimo, impreziosito soltanto dalle Olimpiadi invernali e dalla sua nomina (a titolo personale, come tiene sempre a ricordare) a membro del CIO. Durante il suo regno, in effetti, il CONI ha perso tutto, passando dalla gestione di 420milioni dell’anno 2013 ai 45 milioni attuali, ma soprattutto Malagò ha la grande colpa di aver aperto le porte dello sport alla politica. Fino alla sua elezione, nel 2013, il mondo della politica aveva guardato con grande deferenza e rispetto il CONI, senza mai intromettersi nelle elezioni sportive. E sarebbe andata così anche nel 2013, se non fosse che Malagò ha invece cercato, il decisivo intervento di Gianni Letta, il migliore dei politici nostrani, per sconfiggere Raffaello Pagnozzi, che aveva giocato la partita con le sole armi sportive. Quello fu il peccato originale e, da quel momento in poi, lo sport non è stato più lo stesso. Anche perché, essendogli riuscito il gioco di sponda con Letta, Malagò ha poi pensato di poterlo replicare in ogni occasione. La più eclatante delle quali è stata quando, nel 2016, i Presidenti federali hanno assistito sgomenti alla forsennata e fallimentare campagna elettorale che il Presidente del CONI fece per sostenere il candidato del PD nel ballottaggio contro Virginia Raggi per la carica di Sindaco di Roma. Non da meno fu l’errore di cercare di bloccare la candidatura del suo arci-nemico Paolo Barelli come parlamentare di Forza Italia. Non tanto perché non vi riuscì, ma perché con i suoi comportamenti andò legittimando quella commistione tra sport e politica che i suoi predecessori, Carraro, Pescante e Petrucci, non avevano, né avrebbero, mai permesso. L’apice venne raggiunto nel 2017 quando Malagò, per vedersi allungare il suo mandato da Presidente del CONI, sacrificò i mandati dei Presidenti federali, facendogli mettere un tetto con cui stanno ancora combattendo. “Mors tua vita mea”, insomma. Un capolavoro culminato con la consapevolezza che molti dei Presidenti si erano bevuti la balla spaziale che “se Lui non fosse intervenuto” avrebbero rischiato di andare a casa immediatamente. Pericolo mai esistito, naturalmente, come ben sa ogni Presidente di federazione dotato di materia grigia. Cosi facendo politica, Malagò ha aperto alla politica le porte dello sport, e la politica, che sa fare meglio politica di un presidente di circolo che si improvvisa politico, ne ha approfittato, spalancando la porta che Giovanni Malagò gli aveva aperto.
Ma la lezione, all’Ego ipertrofico dello sport italiano, non era bastata. Come dimostra l’infantile tentativo di fare sponda con il Ministro Spadafora per uno scambio tra il ridimensionamento dell’odiata Sport e Salute e il silenzio su quella riforma dello sport targata Spadafora che avrebbe messo in ginocchio il mondo dell’associazionismo sportivo. Infantile perché, come era prevedibile, Spadafora ha ottenuto il silenzio e ha incassato la parte di riforma che inginocchia il mondo dello sport mentre Malagò non ha ottenuto il tanto agognato ridimensionamento di Sport e Salute, essendosi Vito Cozzoli (AD di Sport e Salute) dimostrato molto più capace di lui nel mantenere la giusta distanza dal potere politico. Solo l’intervento last minute del Presidente della Federnuoto, Barelli, ha impedito che la riforma entrasse in vigore immediatamente. L’ultima è di queste settimane, quando il Presidente uscente del CONI ha cercato disordinatamente, e disperatamente, di suggerire ai partiti politici i nomi da piazzare come Sottosegretario allo sport del Governo Draghi. Mentre assicurava il suo sostegno a Prestipino, nel PD, a Sbrollini, in Italia Viva, a Marin, in Forza Italia, e persino a Spadafora, nei 5 Stelle, in realtà scommetteva tutto su Diana Bianchedi (e come seconda scelta su Fabio Pigozzi). Con la conseguenza che nessuno dei suoi due candidati è stato poi nominato (il suo abbraccio, d’altra parte, è mortale come pochi) e che in Transatlantico in pochi hanno apprezzato questo gioco delle tre carte da basso napoletano. Così come al CIO non hanno apprezzato che, proprio di recente, si sia rivolto alla politica per chiedere aiuto contro la decisione sportiva su Schwazer. Ce ne sarebbero tante altre, ma ci fermiamo qui. Bastani per far capire perché il maldestro Malagò deve preoccuparsi di Renato Di Rocco, che è un Presidente federale di lungo corso, che conosce il valore dell’autonomia dello sport e che, ben più di Malagò, saprà tenere a distanza la politica. Senza telefonare, senza pietire, chiudendo garbatamente le porte. Come sapeva fare il mai troppo rimpianto Gianni Petrucci.
GLG